Bioarchitettura: e la terra cruda per il suolo lunare di Nader Khalili architetto degli ultimi scende sulla Terra

tumblr_lgurciTq6D1qaiq3oL’attualità che questa crisi economica ci prospetta, con profili che nel nostro paese assumono caratteri ancor più rilevanti, vede proprio nell’edilizia un comparto trainante e molto colpito, oserei dire quasi in ginocchio, alla ricerca di un nuovo modo di edificare e con il concetto di recupero efficiente ancora tutto da acquisire. Un settore che da tempo sta facendosi largo, non senza difficoltà, nel nostro paese è indubbiamente quello della bioarchitettura, con la presenza di un sempre maggior numero di materiali disponibili, alcuni dei quali anche attivi, come sta succedendo per certi innovativi prodotti fotovoltaici che diventano veri e propri elementi costruttivi. La bella storia che mi accingo a raccontare che letta oggi lega in un grande abbraccio le conquiste spaziali proprio con la bioarchitettura. Negli anni ’80, la NASA, l’ente spaziale amerciano, si trovava in grandi difficoltà legate al futuro dei finanziamenti dell’agenzia. Fu Tentato allora di rilanciare l’implementazione di infrastrutture di alloggio e permanenza sulla luna, facendolo con un simposio pubblico dal titolo Lunar Bases and Space Activities of the 21st Century rivolto a scienziati, inventori ed esperti del settore, che fu tenuto presso la National Academy of Sciences in Washington nell’ottobre del 1984. Tra iKhalili relatori un giovane architetto iraniano, Nader Khalili (foto a destra) che presentò un’idea di costruzione di moduli abitativi per il suolo lunare in mattoni di terra “ceramizzati”, ripetibile sulla terra in condizioni di isolamento o di emergenza. Una idea di grande interesse che non sfugge ai laboratori di Los Alamos, dove lo scienziato iraniano viene invitato come “visitatore” per approfondire gli aspetti tecnici della cosa. Nasce così il Super Adobe, ovvero sacchi di tessuto stratificato riempiti di terra cruda e ceramizzati in loco che permettono l’impilamento per la costituzione di pareti, archi ed ogive. In quell’anno Khalili riceve il premio “Excellence in Technology” dal CCAIA (California Council of the American Institute of Architects) per le sue ricerche sul sistema ceramico, divenendo così membro del team del “Lunar Resources Processing Project” . Tre anni dopo un nuovo riconoscimento speciale per il suo progetto “Housing for the Homeless: Research and Education“, un sistema con caratteristiche di economicità e di grande facilità realizzativa particolarmente adatte per l’applicazione in ambiti di povertà ed emergenza sociale. Si trattava di un sistema che Khalili aveva già testato nel 1980 realizzando una scuola a Javadabad, una cittadina nella regione della capitale Teheran. Aspetti molto particolari in quella costruzione, dove nel processo costruttivo delle stanze i mattoni di terra e argilla divenivano forni in cui la combustione rendeva la struttura monolitica con un effetto smaltante. Come avrà a dire negli anni successivi, Khalili subì l’influenza della filosofia sufica in merito all’uso dei 4 elementi: terra e acqua per i mattoni, fuoco e aria per la combustione. La nuova tecnica ceramica si innestava sulla lavorazione tradizionale in adobe mantenendone le caratteristiche di economicità.

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Ma cerchiamo di capire meglio le applicazione di Super Abode, capendone meglio anche la filosofia. Khalili ribattezza il superadobe, ispirandosi a “mille e una notte”, come Geltaftan (gel-taftan, “argilla bruciata”), se non fosse che già “adobe” è un termine che viene dall’arabo al-tobe, “il-mattone”, spagnolizzato e poi essere prestato all’inglese per indicare il mattone in fango o terra cruda. Una idea fondata su due elementi fondamentali:

  • La struttura portante: in elementi simili a mattoni in terra cruda (vedi sito del Cal-Earth dove si possono trovare i costi le dimensioni ed altre caratteristiche tecniche dei sacchi da riempire con la terra che si trova in loco. Poi ci sono foto, schemi e prescrizioni per costruire strutture a volta, con tutti i necessari sistemi di intersezione ed aperture). L’idea trae ispirazione dal sistema costruttivo tradizionale mediorientale con significative presenze anche in Europa e specificatamente proprio in Italia con un notevole esempio su tutti come i trulli pugliesi di Alberobello e della Valle d’Itria.

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  • Il consolidamento e la conseguente finitura della struttura: Una volta erette le pareti, esse vengono intonacate esternamente ma soprattutto internamente in argilla, con impasti funzionali alla successiva combustione. Dopo la combustione le edificazioni si trasformeranno infatti in giganteschi forni, autentiche fucine che daranno alla luce i suggestivi ambienti a volta.

Entrambi gli elementi sono concepiti secondo i seguenti principi:

  • Possibilità di applicazione nella maggior parte dei luoghi;
  • Facilità di realizzazione: ogni abitante sarà in grado di realizzare la sua dimora;
  • Economicità del processo e dei materiali: ne sono prova le numerose realizzazioni, oltre che l’essenza originaria e semplice di entrambi.

Un grande architetto Nader Khalili che grazie a questi principi rimane per sempre legato alla ricerca dell’architettura per i poveri ed i disagiati della terra. In occasione del recente terremoto in Haiti i figli dell’architetto hanno riproposto il modello abitativo anche esaltando le sue caratteristiche antisismiche.

Concludo con un bel contributo video, nel quale lo stesso Khalili ci introduce alla sua opera di architettura per gli ultimi del mondo:

Biografia breve di Nader Kalili
Nader Khalili nasce a Tehran nel 1936, frequenta l’Università di Teheran e si interessa sin da giovane alla poesia medievale iraniana, rappresentata dal poeta e sui Gialal al-Din Rumi, che ispirerà la sua opera e la sua vita: scopo della sua vita sarà di “permettere ai poveri del pianeta di costruire la loro casa con la terra che hanno sotto i piedi”.

Negli anni ’50 studia ingegneria e architettura ad Istanbul, poi si trasferisce a New York, a San Francisco ed infine a Los Angeles, dove sarà riconosciuto nel 1970 per insegnare al Southern California Institute of Architecture. Gli anni ’80 sono quelli del successo del Super Adobe con la Nasa, ma il progetto rimane teorico fino allo scoppio della Guerra del Golfo, quando migliaia di rifugiati migrano in Iran. Khalili collaborerà allora con l’UNDP e l’UNHCR per l’emergenza abitativa dei rifugiati. In quegli anni istituisce la Geltaftan Foundation (1986) e il Cal-Earth Institute (1991), una struttura in cui approfondisce i suoi studi sull’uso della terra cruda ma anche la sua filosofia professionale. La struttura è aperta a studenti e tecnici, ma anche a gente disagiata alla ricerca di soluzioni abitative economicamente sostenibili. Nel 2004 i suoi studi sul Super Adobe gli valgono l’Aga Khan Award for Architecture. Oltre alla traduzione in inglese dei poemi e delle poesie di Rumi scrive importanti libri sulle sue idee, sulle esperienze sul campo, sui risultati ottenuti e le tecniche elaborate. Di particolare interesse il primo libro, Racing Alone, in cui narra un importante episodio della sua vita che segnerà il suo modo di pensare: non si corre per vincere sugli altri, ma per guardarsi intorno e migliorare sé stessi. Muore a Los Angeles nel 2008. Ad oggi i figli Dastan e Sheefteh continuano la sua opera architettonica e sociale presso il Cal-Earth Insitute, assieme ad alcuni allievi che diverranno anch’essi punti di riferimento per l’architettura sostenibile; tra di essi Kelly Hart, che elaborerà 13 principi per il suo sviluppo.

Sauro Secci

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