Disastri ambientali: una autentica grande guerra mondiale

copertinaLe guerre, autentico fallimento dell’umanità, segnano ogni giorno diversi fronti del pianeta, molti dei quali, come succede per l’accesso alle risorse minerali, troppo spesso dimenticati dai media (vedi post “Conflitti ambientali e per l’accesso alle risorse nel mondo: arriva l’Atlante globale dei conflitti ambientali…..”). Ma c’è un’altra guerra silenziosa, che si combatte su tutti i fronti del pianeta e che non vede l’uso di armi, quella provocata dai disastri ambientali, davvero un bollettino incredibile di vittime, accelerato da eventi climatici decisamente sempre più estremi, che ha provato ad analizzare il quinto rapporto dell’IDMC (Internal Displacement Monitoring Centre) (link sito), emanazione del Norwegian Refugee Council (NRC) (link sito), organizzazione non governativa umanitaria indipendente, dal titolo “Internal Displacement Monitoring Centre, People displaced by disaster”, scaricabile in calce al post. Un rapporto dai numeri davvero raccapriccianti, dal momento che si parla di ben 22 milioni di persone sfollate nel 2013, a causa di disastri ambientali, esattamente il triplo di quelle costrette a lasciare le proprie case e molto spesso il proprio Paese, come profughi, a causa delle guerre. Un dato davvero sorprendente, dal momento che proprio l’anno scorso il fenomeno delle guerre ha assunto livelli davvero dilanianti in molti paesi del mondo e dopo che, negli anni precedenti, si erano riscontrate cifre ancora più elevate, che indicavano un effetto dei disastri creati dai cambiamenti climatici, superiore di ben 10 voltetrend_1970_2010 a quello dei conflitti. Un trend innescato negli ultimi 40 anni, a partire dal 1970, attraverso grandi e piccole calamità, strettamente connesse sia ai cambiamenti climatici, sia alla mutata gestione del territorio attuata dall’antropizzazione selvaggia verso le città a danno delle campagne (vedi trend a destra). Secondo il direttore dell’IDMC, Alfredo Zamudio, “la maggior parte dei disastri sono causati tanto dalla mano dell’uomo, quanto sono naturali. Una migliore pianificazione urbana, la protezione dalle inondazioni e norme in tema di edilizia potrebbero ridurre molto del loro impatto”. Tra gli eventi estremi più rilevanti degli ultimi anni come il tifone Haiyan, che è riuscito a determinare circa 4,1 milioni di sfollati “ambientali”, un milione in più di quelli creati da Africa, Americhe, Europa e Oceania messi insieme.

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Nelle Filippine, il tifone Trami ed un terremoto nella regione di Visayas, sono riusciti a determinare insieme ben 5,8 milioni di rifugiati complessivi. Molti altri gli eventi estremi di grande rilevanza, come il tifone Man-yi in Giappone, che ha costretto 260.000 persone a spostarsi alla ricerca di condizioni di vita più sicure, ed un altro tornado, abbattutosi sullo stato dell’Oklahoma (USA), che ha costretto a sfollare ben 218.500 persone. Piogge ed inondazioni catastrofiche hanno colpito anche l’Africa, dove in Niger, Ciad, Sudan e Sud Sudan, le inondazioni provocate da un’anomala stagione delle piogge hanno determinato notevoli spostamenti delle popolazioni, in un territorio, vicino alla zona del Sahel, solitamente abituato a combattere i danni ben diversi della siccità.

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Uno degli aspetti più pericolosi ed inquietanti, messi in risalto dal nuovo rapporto, secondo Jan Egeland, segretario del Norwegian Refugee Council, è costituito dal fatto che “i disastri naturali sono sottovalutati come flagello, che però sta colpendo decine di milioni di persone ogni anno, con una mobilitazione di mondo politico e corporations davvero decisamente insufficiente in un quadro di sottovalutazione della problematica. La mancanza inoltre, di un quadro normativo, sia a livello italiano che europeo ed internazionale, necessario per definite le cosiddette “migrazioni forzate”, permettendo di agire sui piani di mitigazione e tutela dei diritti fondamentali delle persone coinvolte. Molto virtuoso in tal senso l’esempio del Bangladesh, che è riuscito a mettere in atto sistemi di allarme efficienti che hanno aumentato i margini di sicurezza durante le tempeste, pur non potendo impedire la distruzione provocata da molti degli inaspettati eventi della portata di quelli occorsi ripetutamente nel corso del 2013. Indicazioni confortanti non vengono certo dagli scienziati, che prevedono un incremento di questi disastri correlato all’aumento della popolazione mondiale nei prossimi anni. Il rapporto dell’IDMC rileva come l’80% dei profughi censiti negli ultimi 5 anni, provengano dall’Asia, dove i disastri si concentrano in particolare nelle megalopoli. Proprio queste aree urbane divengono autentiche “trappole” quando un disastro naturale le colpisce, con persone stipate fino all’inverosimile, che vivono spesso nel delta dei fiumi, su spiagge o litorali a rischio uragano, lungo alvei facilmente inondati, vicino a scivoli di fango, etc.. Un problema ben evidenziato anche dal quinto rapporto dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), dove, nel secondo volume, sono stati dedicati specifici capitoli alla Human Security (sicurezza delle popolazioni), ai Livelihoods and poverty (mezzi di sussistenza e povertà) e ai problemi relativi all’adattamento.

Una occasione importante per portare l’attuale drammatica situazione all’attenzione dei decisori del mondo politico internazionale, in modo da iniziare politiche per fronteggiare il problema, è costituito dal Climate Summit 2014 (link sito), che si aprirà a New York il 23 settembre e nell’ambito del quale, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha rivolto un appello ai grandi leader mondiali, a livello governativo, ma anche ai settori della finanza, delle imprese e della società civile, per cercare ancora una volta di catalizzare l’attenzione sulle emergenze climatiche, che ora più che mai dimostrano di avere delle conseguenze fortissime anche a livello umanitario.

Sauro Secci

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