Dopo l’ultima puntata di Presa Diretta, dedicata allo stato dei nostri mari, sono rimasto davvero colpito da quella grande problematica costituita dalla dispersione delle plastiche negli ecosistemi, avvenuta sino a alcuni anni fa, addirittura in maniera assolutamente incontrollata, non essendo ancora stati avviati, almeno nei paesi sviluppati, i processi di raccolta differenziata. Una situazione che ha determinato l’accumulo nei nostri mari e oceani, di quantitativi enormi di plastica, con grande compromissione degli ecosistemi ed anche delle catene alimentari. Un tema che riaffiora ogni anno, anche nelle tante iniziative a tutele dei nostri mari e delle nostre spiagge, come quelli organizzati da Legambiente (vedi post ” Monitoraggio spiagge di Legambiente: tanta plastica e segnali di “fumo” nei “beach litter”). Fondamentale, nel complesso cammino verso il recupero di sostenibilità delle attività umane, è senza dubbio anche il settore delle alternative alla plastica, costituito dalle bioplastiche, che si va arricchendo di giorno in giorno di nuove possibili opzioni. Qualche tempo fa, avevo dato conto di una alternativa alla plastica, costituita da un biomateriale derivato dalla carta da macero (vedi post “Un mondo senza plastica? Un aiuto dalla carta da macero con Zeoform, l’ecomateriale che si propone rivoluzionario“), ma in questo caso l’aiuto arriva da un mondo che rappresenta una delle mie grandi passioni, come quello della micologia e cioè dai funghi. Non è la prima volta che questo magico regno, non esattamente assimilabile a quello vegetale, ci viene in soccorso anche su tematiche ambientali fondamentali come quello della bonifica di siti inquinati (vedi post “Bonifica siti inquinati piaga italiana: arriva il “biorisanamento” con i nostri amici “funghi”). Ma tornando alla utilizzazione dei funghi per la produzione di bioplastiche, la soluzione scaturisce dal Progetto “Mogu”, che significa “fungo” in cinese uno dei sette selezionati dalla Global Social Venture Competition, il premio internazionale ideato dall’Università di Berkeley e riservato a idee imprenditoriali con forte rilevanza sociale e impatto ambientale, organizzato a Milano da Intesa Sanpaolo. Il progetto ha avuto una menzione speciale “per l’economia circolare”, conferita dalla Italeaf di Terni, l’acceleratore di business per imprese e startup nei settori dell’innovazione e del cleantech, che ha offerto un anno di incubazione e consulenza per il business development presso le
sue strutture di Nera Montoro (Terni). Si tratta di una bioplastica compostabile al 100%, che non utilizza petrolio, nata dall’unione italo-olandese di due start up come l’italiana Mycoplast (link sito) e l’olandese Mycotirial. Alla base di questa nuova linea di sviluppo quattro giovani poco più che trentenni, Federico Maria Grati, Stefano Babbini, Natalia Piatti e Maurizio Montalti, che hanno deciso di mettere a frutto la loro laurea in ingegneria per creare bio-plastica dagli scarti di produzione alimentare. Come spiega uno dei protagonisti del progetto, Federico Maria Grati: “i biopolimeri ottenuti da rifiuti agricoli e funghi sono stati sviluppati durante gli ultimi 10 anni e hanno trovato alcune applicazioni commerciali negli Stati Uniti, soprattutto nel campo del packaging. Il vantaggio della bioplastica prodotta attraverso i funghi è di essere economicamente competitiva rispetto a polistirene e poly-foam. La nostra plastica Mogu ha anche un valore ambientale perché è realizzata con scarti di produzioni locali, il processo di lavorazione è totalmente naturale e avviene a freddo, il materiale ottenuto è 100% compostabile”.
Un’idea destinata ad essere vincente nel contesto di una nuova industria orientata a “rifiuto zero”. Un processo molto versatile, dal momento che la materia prima sulla quale avviare la coltivazione dei funghi, può essere diversa a seconda del proprio ambito produttivo, come paglia di grano o di riso, lolla di riso, segatura, fondi di caffè (vedi post “Funghi dai fondi del caffè: un’altra iniziativa in tema di rifiuti a Capannori“), bucce di pomodoro o d’uva, potendosi così adattare ai diversi contesti, con i funghi che crescono praticamente ovunque, basta selezionare quelli adatti per riciclare in modo utile e ‘creativo’ le biomasse di scarto, che spesso rappresentano un problema ambientale e un fastidio per lo smaltimento. Proseguendo l’illustrazione poi, lo stesso Grati evidenzia che “anche il processo è semplice, poiché avviene a temperatura e pressione ambiente, in modo quasi artigianale e del tutto naturale: una volta sterilizzati gli scarti alimentari, per eliminare altri microrganismi che potrebbero entrare in competizione con il nostro fungo, si introducono le spore del micete e si lasciano crescere per una decina di giorni. Il materiale ottenuto viene tritato e stampato nella forma desiderata, poi essiccato in stufa per devitalizzare il fungo”. Il prodotto che ne deriva, possiede caratteristiche stupefacenti, essendo una plastica vellutata al tatto, flessibile, leggera, resistente agli urti, all’acqua e al fuoco, dal momento che i funghi sono composti da chitina, lo stesso biopolimero che si trova nell’esoscheletro di insetti, granchi e gamberetti. La chiave vincente di questo progetto, che lo pone come esempio creativo di
economia circolare, è proprio la varietà di matrici di partenza utilizzabili, così, per esempio, le cantine potranno usare gli scarti di uva per auto-prodursi gli imballaggi in cui contenere e trasportare le bottiglie di vino. In questo modo si abbattono i costi e si fa marketing verde”. Ma le applicazioni del materiale sono davvero infinite, potendo andare dalle scatole, alle stoviglie, dai materiali per l’edilizia, agli interni delle auto, fino alla cosmesi, in pratica tutto ciò che si può realizzare con la plastica, con tutti i vantaggi ambientali del caso e senza inquinare. Come spiega lo stesso Grati “l’idea è nata dall’incontro con Maurizio Montalti, concept designer e fondatore di Officina Corpuscoli ad Amsterdam. Lui da anni realizza oggetti di design con materiali ottenuti da funghi, ispirato dagli studi del professor Han Wörsten dell’Università di Utrecht. Grazie a Montalti abbiamo iniziato a coltivare le prime tonnellate di questo materiale e produrre i primi oggetti”.
Passando alla implementazione su scala industriale del processo, dopo la fase di prototipizzazione, per i prossimi cinque anni il piano industriale di Mycoplast, prevede la realizzazione di uno stabilimento pilota, dove si cominceranno a produrre circa 10mila pezzi all’anno. Il passo successivo prevederà la vera produzione industriale, con circa 1 milione di pezzi all’anno, e la vendita di licenze. Nel 2012 la produzione di plastica in tutto il mondo ammontava a 288 milioni di tonnellate, con una stima che circa la metà dei rifiuti di plastica è stivato nelle discariche, oltre a quello disperso in grandi ecosistemi come il mare, come dicevo in premessa. Per la ricerca e sviluppo mondiale, con particolare riferimento a quella europea e nordamericana, si tratta di mettersi alla prova con un mercato delle bio-plastiche destinato a crescere da circa 1,4 milioni di tonnellate di produzione annuale del 2012 a circa 6,2 milioni di tonnellate del 2017. Una volta ancora, per ribadire il concetto, anche se ci sono ancora troppi “sordi complici”, la natura ci insegna a salvaguardare il pianeta e lo fa ancora una volta attraverso quei meravigliosi metabolizzatori e mediatori ambientali come i funghi.
Sauro Secci
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