Decreto Trivelle, Zanonato firma, Greenpeace furiosa contro il Governo

Trivelle-offshore-Sicilia-Greenpeace-e-Regione-contro-Perla-e-Vega-BDopo le incredibili aperture alle trivellazioni nei nostri meravigliosi mari da parte del Ministro Passera, contenute nella SEN (Strategia Energetica Nazionale), approvata con uno dei tanti colpi di coda del Governo Monti (vedi post “Trivelle d’Italia: Colpo di coda e di mano del Governo Monti che vara il decreto sulla SEN”), pensavamo davvero di aver toccato il fondo in termini di Ministri al servizio di petrolieri e comunque grandi centri di interesse, ma sembra proprio che l’attuale titolare del dicastero dello sviluppo economico, questa volta non “tecnico” ma “politico”, sia ancora più subdolo, per farci apparire una cosa e sostanziarne un’altra. Mi riferisco al Ministro Zanonato, che, in un comunicato uscito nei giorni scorsi, circa il suo decreto di riordino delle zone marine del 9 agosto scorso da poco firmato, annunciava testualmente un “quasi dimezzamento delle aree complessivamente aperte alle attività offshore, che passano da 255 a 139mila chilometri quadrati, spostando le nuove attività verso aree lontane dalle coste e comunque già interessate da ricerche di Paesi confinanti, nel rispetto dei vincoli ambientali e di sicurezza italiani ed europei”.

trivelle-ditalia

Nel dettaglio il secondo il MiSE, la nuova azione governativa determina la chiusura a nuove attività delle aree tirreniche oltre che di quelle entro le 12 miglia da tutte le coste e dalle aree marine protette, con la contestuale residua apertura di un’area marina nel mare delle Baleari, contigua ad aree di ricerca spagnole e francesi. Peccato che il Ministero Zanonato elevandosi a paladino per la difesa dei nostri mari, e coniugatore di sviluppo e ambiente, non dica l’altra parte della realtà, sottacendo completamente sulla riapertura per le trivellazioni che, comprese tra le 5 miglia e le 12, che erano state vietate dal ministro Prestigiacomo e riammesse successivamente dal ministro Passera. Facendo una opportuna retrospettiva, dopo il disastro avvenuto nel 2010 con l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon della BP del Golfo del Messico, l’allora ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, con il decreto legislativo n.128 del 29 giugno 2010 aveva elevato da 5 a 12 miglia marine (circa 19 km) il limite entro il quale autorizzare prospezioni e ricerca di idrocarburi in prossimità di aree protette marine. Un colpo pesante per le compagnie petrolifere a cui è prontamente venuto in soccorso il ministero Passera che, nel 2012, con il con il cosiddetto decreto “Crescita” (Legge 22 giugno 2012, n. 83 convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, all’articolo 35), pur confermando da un lato il limite delle 12 miglia, esteso a tutte le coste, ha di fatto condonato le richieste già in atto, specificando che dalle restrizioni sono fatti salvi i procedimenti concessori che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto ‘correttivo ambientale’ del 2010. Un autentico condono quello di Passera, che il ministro Zanonato si è guardato bene dal toccare, con l’unica restrizione che il nuovo provvedimento interdice nuove attività nelle aree tirreniche, tanto per generare fumo negli occhi, dal momento che è fatto ben noto che si tratta di coste prive di risorse ed interessi petroliferi. Il risultato di tutta questa manovra di facciata, con il dimezzamento delle aree complessivamente aperte alle attività offshore e la conferma del limite delle 12 miglia sbandierate da Zanonato, genera di fatto la classica “bolla di sapone”, con i nostri mari che continueranno ad essere sotto assedio delle trivellazioni, una situazione che ci aiuta a capire meglio una sovrapposizione di immagini: la prima costituita dalla mappa ministeriale che evidenzia le aree cui il nuovo decreto limita prospezioni e trivellazioni (prima immagine),

Mappa MiSe

con una seconda immagine, tratta dal dossier di Legambiente “Per un pugno di taniche” scaricabile in calce la post, nella quale si individuano le aree per le quali i petrolieri hanno manifestato interesse.

Mappa Per un pugno di taniche

Il dossier di Legambiente evidenzia che ci sono oggi 7 richieste per la coltivazione di nuovi giacimenti corrispondenti ad un totale di 732 kmq individuati in aree con ricerche andate a buon fine, che si sommerebbero ai 1.786 kmq già occupati da piattaforme attive; con 14 permessi di ricerca attivi per un totale di 6.371 kmq. Se si sommano a tutto ciò 32 richieste ancora da autorizzate per un totale di 15.574 kmq, il totale di aree marine in cui si trivella o si vorrebbe trivellare sale a 24mila kmq, di fatto un area estesa come la Sardegna. Di fatto quindi, nel nuovo decreto governativo, una autentica dichiarazione di guerra a gran parte del “Mare Nostrum”, con particolare riferimento all’Adriatico centro meridionale, allo Jonio e al Canale di Sicilia dove, alle piattaforme esistenti, potrebbero presto aggiungersi molte nuove piattaforme. Nulla di nuovo quindi a livello di scelte governative in questo ambito, nonostante, che, come ricorda Legambiente nel proprio dossier, i numeri dimostrino l’assoluta insensatezza di continuare a puntare sul petrolio, dal momento che, secondo le ultime stime proprio del ministero dello Sviluppo economico, il nostro mare conserverebbe circa 10 milioni di tonnellate di greggio come riserve certe, che, parametrate ai nostri consumi attuali ci darebbero una autonomia di appena due mesi. Davvero la ennesima recalcitranza di una classe politica ottusa e miope che, in barba alla straordinaria rivoluzione energetica attivata nell’ultimo decennio dall’avanzata delle energie rinnovabili che ha portato ad affrancarsi quasi completamente dal petrolio per produzione di energia elettrica, porta avanti un attacco inaudito e senza precedenti alle risorse paesaggistiche e marine italiane, sempre in nome dei “soliti noti” delle compagnie petrolifere, con le comunità locali ancora una volta costrette a subire le scelte scellerate di Regioni, Province e Comuni, sempre più tagliate fuori dai tavoli decisionali. Una rabbia enorme vedere ancora una volta svenduto il nostro meraviglioso paese ed il suo futuro e la sua bellezza, soli veri autentici “giacimenti nazionali”, “per uno sporco pugno di taniche’”.Una decisione quella governativa, che non è sfuggita a Greenpeace, che con Alessandro Giannì, direttore delle Campagne dell’organizzazione ambientalista, è intervenuto non solo sul nefasto atto di Governo, promettendo battaglia durissima alla prima violazione delle procedure di valutazione ambientale. Giannì precisa che il decreto “non fa altro che applicare il nefasto art. 35 della Legge 83/2012 che ha riportato le piattaforme petrolifere sotto le spiagge degli italiani”. Secondo Greenpeace, come del resto molte altre organizzazioni sensibili all’ambiente ed al paesaggio del nostro paese, si ampliano le aree in cui potranno essere effettuate esplorazioni petrolifere in mare, allargandole nelle direzioni delle Baleari e oltre Malta. L’esponente di Greenpeace pone poi l’attenzione du un’altra fondamentale questione: quella del procedimento amministrativo per la ricerca petrolifera, che dovrebbe essere articolato su tre distinte fasi:

  • prospezione sismica;
  • trivellazione esplorativa;
  • trivellazione commerciale.

Al quesito specifico di Greenpeace, vi è stata la risposta del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, che ha confermando che la valutazione ambientale deriva dalla ”configurazione del procedimento principale, autorizzatorio o concessorio, nel quale la procedura di Via si inserisce”. Ed è stato proprio su questa base che Giannì è partito in lancia all’attacco del Governo: “Delle due l’una: o il ‘procedimento principale’ al Mise e’ costituito da tre fasi distinte e separate, e quindi ogni fase deve rispettare la norma vigente al momento, oppure lo spezzettamento della Via di un procedimento unico costituisce l’ennesima violazione italiana della direttiva 85/337/Cee sulla valutazione dell’impatto ambientale. Greenpeace attende che qualche petroliere si permetta di richiedere una qualunque autorizzazione ad attivita’ in aree non incluse oggi nella “mappa del petrolio” del Ministro Zanonato. Se questo tipo di istanza venisse accolta, chiameremo in tribunale il Miseche ci dovra’ spiegare perche’ la legge non e’ uguale per tutti”.
Evidente l’intento di Greenpeace, di accelerare sul contrasto alle trivellazioni facili in Italia, in una battaglia tra associazione e il Governo che promette di inasprirsi ulteriormente, sperando che mantenendo i riflettori puntati sulle concessioni alle trivellazioni esplorative possa costringere e portare a una sensibilizzazione maggiore di tutti i cittadini nei confronti del problema delle ricerche petrolifere off shore in Italia.

Sauro Secci

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